Che cosa penso dei Modà

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Che cosa penso dei Modà?

 

Al netto di linee melodiche insulse, che anche un bambino di 8 anni con la Sindrome di Padre Cionfoli potrebbe comporre; al netto di testi imbarazzanti, che rivelano un attaccamento ai periodi ipotetici paragonabile a quello di Amedeo Minghi per il passato remoto debole in –ai, –ei, –ii; al netto del nome del cantante, che si scrive Kekko, che fa tanto bimbominkia dodicenne sorpreso dalla professoressa a pasticciarsi su una foto unta e bisunta di Licia Colò; al netto della mancata difesa del nome Kekko, che sarebbe interessante sotto il profilo linguistico: agli pseudo-colti grammar nazi dei miei gambali, che criticano l’uso della k in luogo dei grafemi c e ch, va opposta la cultura, in particolare va detto che il primo documento scritto in volgare in Italia, il Placito di Capua (anno 960), reca proprio la k: Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte Sancti Benedicti; al netto, dunque, del fatto che né Kekko né i suoi fan più akkaniti abbiano mai letto le prime pagine delle antologie del liceo, in cui il Placito è sempre presente; al netto, ancora, di un immaginario amoroso che non si discosta dai modesti orizzonti di un innamorato che si diletta “a guardare le nuvole / su un tappeto di fragole”; al netto della mia allergia alle fragole, che perlomeno sarebbe stata mitigata da una citazione – che non c’è – del capolavoro di Ingmar Bergman “Il posto delle fragole” ; al netto dello sforzo disumano che fa Kekko nel cantare, sforzo in cui la giugulare si gonfia paurosamente e sembra in procinto di scoppiare, alimentando la mia ipocondria empatica (“ora si sente male, ora mi sento male”); al netto della tristezza che ho provato nello scoprire che una ragazza, una bellissima ragazza, di cui ero invaghito e che non avrebbe esitato a ricambiare le mie attenzioni, era una fan dei Modà, una di quelle che aspirano all’antonomasia, con gli striscioni pieni di k in cameretta e la sensibilità d’animo di Genny ‘a Carogna; al netto delle sere di una vita difficile, in cui torni stanco dal lavoro (il tuo lavoro è gratis), e deluso, depresso, vorresti solo farti un drink di cicuta, oppio e stramonio prima di andare a dormire per sempre, però a un tratto dici, immotivatamente: “Sono il nuovo De Gregori”, prendi la chitarra e cominci a cantare le canzoni che hai scritto, davanti a te c’è una folla immensa che ti ascolta, che trattiene il fiato mentre barcolli poeticamente su un filo di voce, ma il filo improvvisamente si spezza: al di là del muro c’è sempre un vicino come il mio, fan dei Modà, che ti urla: “EBBASTAKONSTAMMERDA!!!”; al netto di tutto questo e di altro ancora, che le mani stanche mi implorano di tralasciare, sottacere, dimenticare,

 

devo ammettere che a me i Modà non dispiacciono.

Giovanni Laera

"L’ironia è una dichiarazione di dignità, un’affermazione della superiorità dell’uomo su ciò che gli capita."

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