Non amarmi perchè vivo a Londra

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Nello scorso fine settimana sono stato a Manchester, non immaginavo che sarebbe stato l’ultimo weekend con l’Inghilterra dentro l’Unione Europea.

E non perché mi fidassi dei sondaggi, ma perché mi sembrava impossibile che un popolo che viene narrato e si narra come saggio e pragmatico potesse scegliere il salto nel vuoto del LEAVE.

Pensavo che, a 71 anni dalla fine della seconda guerra mondiale, gli europei avessero finalmente compreso che evocare chiusure, esaltare divisioni, trincerarsi nei confini porta sempre, SEMPRE, alla tragedia, alla crisi, alla sofferenza economica, sociale e personale ed infine alla guerra.

Certo, i vertici attuali dell’Ue fanno di tutto per farsi odiare, a Bruxelles gli interessi delle persone vengono molto dopo quelli delle banche, l’austerità ha portato più danni che benefici. Gli euroburocrati sono meno simpatici di Ramsay Bolton. E’ tutto vero. Le attuali istituzioni europee funzionano molto male.

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Ma se abbiamo una casa che necessita di essere riparata cosa facciamo? Cerchiamo di capire cos’è che l’ha danneggiata e quindi lavoriamo di buona lena per farla tornare accogliente.

Gli inglesi invece hanno scelto di andare a vivere sul marciapiede.

E, quel che è peggio, i flussi elettorali ci dicono che, ad essere decisivo per il risultato finale, è stato il voto massiccio degli elettori più anziani, che, nel Regno Unito come nel resto del continente, sono più numerosi e a votare ci vanno quasi sempre.

Ora, senza fare giovanilismo d’accatto (e d’altronde non ho l’età per farlo), mi sembra paradossale che una generazione possa arrogarsi il diritto di ridurre drasticamente le opportunità della generazione successiva.

I genitori, gli zii, i nonni hanno deciso che i loro figli e nipoti non devono godere della libertà che a loro era stata garantita, la libertà di muoversi, di conoscere, fare amicizia, trovare facilmente un lavoro in tutta Europa.

Mi sembra folle che la paura di alcuni debba soffocare la speranza di altri.

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Forse è proprio questo  il principale fattore di crisi della democrazia rappresentativa: annientati dalle reazioni istintive i fatti non contano più niente.

Non conta niente che l’integrazione europea abbia garantito ai nostri paesi il più lungo periodo di pace da migliaia di anni a questa parte. Non conta niente che insieme alla pace siano migliorate le condizioni economiche di milioni di persone. Non conta niente aver permesso a migliaia di cittadini ogni anno di realizzare i propri sogni studiando, lavorando, amando in tutti gli angoli del continente.

Ha trionfato invece chi agitava lo spettro del diverso, del nemico sconosciuto che viene da fuori, ha vinto la prospettiva dell’asserragliarsi nelle proprie mura.

In ogni paese europeo c’è ormai una folta schiera di politicanti senza scrupoli che, pur di garantirsi una poltrona, non esita ad evocare i nostri sentimenti più bassi e cattivi. Una élite che finge di contrapporsi alla élite che governa attualmente.

Lo scontro è finto  perché essere dominati da una finanza europea o da una strettamente nazionale è lo stesso. Non funziona e fa schifo comunque.

Se l’Europa vuole avere un futuro non può che ripartire da una politica economica e sociale che rimetta al centro l’idea comunitaria, la solidarietà, la consapevolezza che apparteniamo tutti alla stessa razza, quella umana.

Antonio Basile

Idealista pratico. Se le passioni si nutrono di ostacoli, le mie sono obese.

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