Uomini per bene e cattivi maestri

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In Italia  gli unici imprenditori con passioni politiche sono i costruttori. Spulciando gli elenchi dei finanziatori privati delle campagne elettorali risulta, infatti, che quasi solo chi lavora col cemento finanzia, e in somme cospicue, partiti e candidati politici. Salvo rarissime eccezioni, le aziende di altro tipo, meccaniche, di inport/export, tessili, in breve quelle che non partecipano ad appalti pubblici, non appaiono in nessun elenco di finanziatori, di nessun partito.

E no, non è così in tutte le democrazie. Solo da noi. Noi intendiamo il finanziamento privato dei partiti come un fantamercato dei parlamentari:  gli imprenditori che vogliono lavorare col pubblico non finanziano un solo politico, ma tutti quelli disponibili, a prescindere dallo schieramento. Prima o poi, ne sono certi, passeranno all’incasso. Da noi, il pluralismo di mercato è inteso come una torta di compleanno, da spartire tra gli amici invitati. Chi non è stato invitato, schiatti pure.

L’inchiesta della procura di Firenze sulle Grandi Opere ci svela l’ultimo tassello di questo sistema oleatissimo: il burocrate, ovvero il manovratore, sublime ed irremovibile. È lui che unisce gli interessi degli imprenditori: fare in modo che ci siano sempre nuovi appalti pubblici, anche se non servono o sono svantaggiosi per lo Stato; e quelli dei politici: ottenere prestigio politico, sociale, economico.

La democrazia in Italia si riduce quindi ad un gioco delle parti tra imprenditori, politici e burocrati corrotti.

Se le grandi opere siano utili o dannose per l’ambiente e la popolazione, se abbiano un costo sostenibile per lo Stato, non sono criteri presi in considerazione. L’opera non conta, conta l’appalto. Stando ai dati del 2014, ci sono in Italia 395 grandi opere non completate, ma per cui lo Stato ha pagato e paga ancora.

Mariangela_Fantozzi

La faccia di Maurizio Lupi, durante questa conversazione (vera!!!) con Incalza:
L: “Cos’è il nodo metro-tranviario di Bologna?”.
I: “È come se fosse una metropolitana in superficie”.
L: “Quando parli di piccole medie opere nel Mezzogiorno, perché nuovi cantieri per 400 milioni?”.
I: “Perché sono quelli delle opere piccole e medie”.

Nella nostra miserevole democrazia incompiuta, un ministro delle Infrastrutture che non conosce l’operato del suo ministero, che avalla grandi opere per miliardi di euro, ignorandone utilità e convenienza (c’è un’intercettazione favolosa in cui Lupi chiede informazioni sui vari cantieri a Incalza prima di un’intervista al Corriere e dimostra di sapere a mala pena se si tratti di ferrovie o strade), viene abbracciato da altri ministri e parlamentari, definito “un uomo per bene” capace “di un gesto nobile”, dimettendosi.

Infatti lo hanno cacciato non per l’incompetenza e la condiscendenza ad un sistema di potere, ma perché quell’orologio da 10.500€, regalato al figlio da un costruttore interessato, fa impazzire d’invidia l’opinione pubblica e calare i consensi.

Il bello dell’Italia, ciò che ci rende unici al mondo più dei Fori Imperiali, è che negli stessi giorni dello scandalo Lupi-Incalza, e nell’indifferenza totale dei mass media, uno scrittore, Erri De Luca, viene processato dalla  Procura di Torino con l’accusa di “istigazione a delinquere”, solo per aver dichiarato che proprio una di quelle grandi opere, una di quelle inutili e dannose per l’ambiente, avallate dal ministero per anni controllato da Incalza, la Tav Torino-Lione, “andrebbe sabotata”.

Nessun politico, intellettuale, scrittore italiano è corso ad abbracciarlo. Lo hanno definito “un cattivo maestro”, non un uomo per bene.

De Luca è solo nella sua battaglia. Come tutti quelli che, da noi, si permettono di riconoscere un valore nelle idee, non nei Rolex.

 

Questo testo è estratto dalla terza puntata di Non c’è sesso senza Amaro, il programma radio de l’Amaro su yesweradio.it. Qui sotto il podcast. 

Per sostenere Erri De Luca puoi firmare qui: iostoconerri.net

Giuseppe Putignano

Un cocciuto sostenitore della tesi che si possa lavorare scrivendo solo ciò che ti piace. E' un giornalista pubblicista ma, così facendo, non lo resterà a lungo.

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