Fenomenologia degli studenti universitari sotto esame (Terza e ultima parte)

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#7 I perfettini

I perfettini sono studenti bravini, che fanno il compitino per l’esamino. Preparatini, cercano solo di tenersi a debita distanza dall’infamia, senza mai anelare alla lode. Lodina è parola assai bruttina, peraltro.
Si laureano, i perfettini, prestino, sui ventitré, ventiquattro anni. Perché loro hanno un obiettivino: persuadere i cosini, che gli altri studenti chiamano “esseri umani”, con le loro paroline. E così, passo dopo passo, l’obiettivino mangia le loro giornatine, diventa la loro sola aspirazioncina.
Se gli ansiosi si dispongono nella scala Anxiety and Panic Disorder in University Examen al grado Hell – Daniela Santanchè rings the bell, i perfettini si collocano all’opposto: per loro i ricercatori hanno coniato il livello di ansia Folletto Demonstration. Per il perfettino, infatti, l’esame non è altro che una dimostrazione della Folletto, una parentesi di noia in una vita fondamentalmente igienica.
Detto ciò, torno ad ammorbarvi col suffisso –ino.
I perfettini hanno bei vestitini, una buona parlantina, un sorrisino rassicurante. “Ecco il prossimo sindaco di Palagianello”, penso di uno. “Guardala lì, la Lady Sanità della Regione Puglia del 2025”, arguisco su un’altra.
Questi ragazzi, che hanno davanti a sé una stradina fatta di successini, sono gli araldi della culturina del futuro. Nessuno slancio emotivo, intellettuale, artistico purchessia.
Arrivati a una certa età, si rovesciano addosso un secchio di acqua ghiacciata per dimostrare di non essere perfettini. Ma il loro destino è ormai segnato.
I perfettini diventano tutti, prima o poi, renzini.

Giunti al potere, i perfettini conducono una strenua battaglia contro il 18. L'articolo 18.

Giunti al potere, i perfettini conducono una strenua battaglia contro il 18. L’articolo 18.

 

#8 Gli ignoranti

Natura abhorret a vacuo. Questa frase latina, attribuita erroneamente a Cartesio, afferma che ‘la natura ha orrore del vuoto’. Vi confesso che anche io, come la natura, ho paura del vuoto, con buona pace di Democrito e di Ezio Greggio. Tante sono le tipologie di vuoto in cui ci imbattiamo nella nostra esistenza. All’università non è raro incontrare quella più pericolosa: il vuoto culturale.
Alfieri di questo vacuum sono gli studenti ignoranti, che suddividerò in tre sottocategorie, o meglio in tre gironi disposti a mo’ di inferno dantesco. Sappiate, dunque, che stiamo per intraprendere un viaggio che ci porterà a inalare l’alito fetido dell’ignoranza. Non turatevi il naso, però. Respirate a pieni polmoni.

8a I misologi – Sono gli ignoranti meno colpevoli. I misologi, che altri chiamano “i nemici della parola e del discorso”, studiano e tendenzialmente comprendono. Il problema – e vi assicuro: è un grosso problema – è che non hanno le parole.
Il loro lessico è più povero di quello del canzoniere di Ligabue (“Tu sei lei / tu sei lei”), mentre sintassi e consecutio temporum strizzano pericolosamente l’occhio ai capolavori di Angelo Cavallaro (“Tua sorella mi sembrò che eri tu”). Paragoni musicali a parte, le mie orecchie hanno udito in questi anni cose-che-voi-umani: Saraceni che diventano extracomunitari, i prostetiche che si fanno prostatiche, Giacomo Leopardi nato alle Canarie.
Sono da bocciatura immediata, direte. I misologi non possono superare un esame, laurearsi, aspirare a un lavoro. L’aphasia non può, non deve vincere sul logos.
Eppure.
Eppure, lo confesso: ho promosso alcuni misologi (pochi, sia chiaro). Naturalmente, togliendo un paio di voti per ogni castroneria detta, arrivano a malapena al venti. Li promuovo, comunque, perché studiano. Perché confido che un giorno i loro discorsi, scombiccherati fiori senza gambo, possano disporsi in un testo coerente e nascondere, come le rose di Saba, l’abisso.
Li promuovo, ma con un dubbio: hanno davvero un mondo nel cuore e non riescono a esprimerlo con le parole oppure l’avversione alla parola e al discorso rispecchia una stamberga interiore spaventosamente semplice, una periferia fatta di cosi, di sole, cuore e amore?
“E che ne so, uagliò”, direbbe un mio studente misologo.

8b Gli mnemonici – Gli studenti mnemonici si mimetizzano nel sottobosco universitario, cercando di passare per geni. Non posseggono però le caratteristiche dei geni, cioè l’intelligenza, lo sguardo d’insieme e, soprattutto, la sofferenza. Queste lacune li portano ad avere un’alta stima di Michelle Hunziker.
Smascherarli è la cosa più semplice del mondo.
A differenza dei misologi, infatti, il loro lessico è fin troppo libresco, la sintassi artificiosa, i testi che formulano eccessivamente lineari. Quando ascolto parole come egli, ella, essi, esse e soprattutto affinché, capisco immediatamente che chi mi sta di fronte cammina sul filo della memoria, ma sotto i suoi piedi c’è il vuoto.
Il vuoto di chi sa poco, troppo poco. Basta soffiare appena per scuotere il filo cui è appesa la loro conoscenza. La verità è che gli mnemonici non hanno compreso nulla.
Questi studenti non si ammalano mai d’amore o di curiosità, solo qualche Trojan ogni tanto. Quando un virus entra nel loro sistema d’acciaio e paglia, la narrazione si riempie di silenzi e interiezioni. Nella maggior parte dei casi il virus è rappresentato da una domanda: “Lei che ne pensa?” Flebile rumore da hard disk impallato. Silenzio. “Error 404 File Not Found”. Silenzio.
A volte penso di scrivere un romanzo di science fiction in cui gli mnemonici conquistano il mondo.
C’è un errore di fondo, però, nel mio progetto narrativo: la realtà ci dimostra – con test, quiz e concorsi pubblici fondati sul mero nozionismo – che gli mnemonici hanno già conquistato il mondo.
C’è un errore di fondo parte seconda, a questo punto. Gli mnemonici non conquisteranno mai il mondo: saranno solo dei mostri di memoria al servizio di un potere che li vuole soggetti, ma non soggetti di qualche evento, ma soggetti a qualcun altro, a qualche idea formulata da chissà chi. Questi studenti, privi di capacità critica, saranno dunque i soggetti del futuro.

8c Le capre – Gli studenti capre sono così ignoranti da sembrare geni. Come i geni, infatti, non hanno autocoscienza: se i geni non sanno di sapere, le capre non sanno di non sapere. Prive della strampalata comprensione dei misologi, nonché del fosforo degli mnemonici, le capre non possiedono gli strumenti fonetici, morfologici, sintattici, lessicali, semantici, finanche comportamentali per sostenere un esame. Insomma, hanno tutte le carte in regola per entrare in Parlamento.
Le capre, però, non saranno mai senatori o deputati. Si atteggiano a elettori, popolo, per nascondere forse una preoccupante vocazione alla plebe. Non saranno mai al servizio del potere, perché per certi aspetti sono il potere, del quale costituiscono le fondamenta mobili, ubique e introvabili.
Non sanno, le capre, che potenzialmente sono le persone più felici del mondo. Chiediamoci pure, allora: che cos’è la felicità? Per me, affetti a parte, è leggere per la prima volta “Le città invisibili” di Italo Calvino.
Ora, sostituite questo libro a un altro, a un quadro, a una scultura, a una canzone che vi ha fatto esclamare: “Bello!” Capirete, allora, quale fortuna sia avere la possibilità di poter dire per la prima volta “bello”, di poter essere – in quell’attimo difficilmente replicabile – felici.
Se mai scopriranno questo giardino, se mai ne brucheranno l’erba, le capre – come i geni – salveranno il mondo.
In attesa che questo avvenga, continuerò a bocciarle senza ritegno.

"Dio si conosce meglio nell'ignoranza" (Sant'Agostino, "De Ordine", II, 16.44)

“Dio si conosce meglio nell’ignoranza” (Sant’Agostino, “De ordine”, II, 16.44)

 

#9 Gli assenteisti

Tra le poche cose che ricorderò quando avrò ottant’anni ci saranno senz’altro i nomi di questi studenti, vergati a mano su statini sporchi di vita. Le prenotazioni online, purtroppo, hanno abolito la poesia di quei nomi impiastricciati, di quei numeri di matricola indecifrabili, che comunque non potrò dimenticare.
Chi si nasconde dietro quelle prenotazioni? Chi sono davvero questi enigmatici “saltatori di appello”?
La natura degli assenteisti, sfuggente e misteriosa, ha alimentato nei secoli alcune leggende.
La vulgata più rassicurante vede negli assenteisti persone un tempo molto diligenti e studiose, che a un certo punto hanno fatto un incontro di quelli che ti cambiano il corso dell’esistenza: Football Manager. Da allora portare la Carrarese in finale di Champions League equivale, nel loro sistema concettuale, a una laurea con lode e slinguazzamento accademico.
Secondo un’altra teoria, sibillina e prossima all’eresia, gli assenteisti sono come Dio. In tal caso, spero vivamente che non esistano.
Se esistessero, infatti, dovremmo inferire due terribili conclusioni:
1) Dio sarebbe troppo impreparato per sostenere il nostro esame;
2) noi stessi, in quanto creati a Sua immagine e somiglianza, saremmo inadeguati a giudicare Dio.
È forse per preservare questo delicato equilibrio teologico che gli assenteisti, come Dio, continueranno ad assentarsi in aeternum.

Per alcuni assenteisti la prova più ardua è l'esame di coscienza.

Per alcuni assenteisti la prova più ardua è l’esame di coscienza.

 

#10 I ripetenti seriali

Dulcis in fundo, i miei studenti preferiti. Contrariamente a quanto si pensa, i ripetenti seriali sono i migliori amici degli assistenti.
Prima dell’esame si riconoscono tra di loro come gli immortali di “Highlander”. Come quei personaggi, sanno che in un futuro molto lontano ne resterà in vita uno solo. Si parlano, enumerando le troppe bocciature con lo stesso orgoglio con cui i veterani di guerra sciorinavano ferite e menomazioni.
Ammetto un’immane difficoltà gnoseologica nel comprenderli. Questa fenomenologia, che si avvia alla conclusione, avrà sempre un limite: come Freud non riuscì mai a ricondurre il masochista morale all’economia del Lustprinzip (‘principio di piacere’), così io non saprò mai la causa di questa coazione alla bocciatura dei ripetenti seriali. Come i masochisti morali, questi esteti della sconfitta cercano la sofferenza, l’infelicità.
I saggi li chiamano i “custodi del tempo”. Quando leggo che il tempo non esiste, che è solo una dimensione dell’anima, penso a loro. Perché un ripetente seriale ha detto a una mia collega: “Dottoressa, io l’ho vista crescere”? Cosa ha causato i capelli bianchi dello studente che mi sta di fronte e che ho bocciato ventordici volte?
Mentre interrogo un ripetente seriale, mi capita talora di pensare alle nostre sorti, alla mia e alla sua, come se fossero indissolubilmente legate. Che cosa ci facciamo qui all’università? Qual è il nostro fine?
La verità è che io e il ripetente stiamo invecchiando nella placenta delle nostre illusioni, nel liquido amniotico dei “farò”. I nostri coetanei, invece, lavorano da anni, hanno messo su famiglia, hanno divorziato, qualcuno ha meditato persino di suicidarsi, optando infine per un tesseramento all’associazione “Amici della filatelia e del massaggio prostatico”. E noi, allora, perché ci ostiniamo a rimanere in questo insensato, inutile, opaco limbo?
La stretta di mano finale tra me e il ripetente seriale trasuda malinconia.
Poi però accade qualcosa. A quel qualcosa ho dato il nome di priscio cosmico. Il priscio nei dialetti apulo-baresi indica un immotivato entusiasmo rivolto al futuro, una sensazione di benessere in cui ti senti parte dell’universo, in cui anche tu, come il sasso de “La strada”, hai un senso.
Richiamo indietro il ripetente seriale:
– La prossima volta non ripetere. Ricomincia.

Domani è un altro giorno, no?

Domani è un altro giorno, no?

 

 

Se ti sei perso la prima e la seconda parte, clicca QUI e QUI.

Giovanni Laera

"L’ironia è una dichiarazione di dignità, un’affermazione della superiorità dell’uomo su ciò che gli capita."

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